Chi sono i progressisti in Iraq?

The article below in Italian, “Who are the Progressives in Iraq? The Left, the Right and the Islamists,” was originally published in English by Foreign Policy in Focus on September 21, 2004. It was translated by Bianca Cerri of ReporterAssociati (www.reporterassociati.org), the independent Italian freelance journalist group based in Rome that is linked to IndyMedia (www.indymedia.org).

Original story found here.

Sia la stampa “alternativa” che quella ufficiale hanno dimenticato di riportare un evento che dimostra come il controllo americano sul futuro dell’Iraq sta forse tramontando.

Ad agosto, la Casa Bianca ha sostenuto la nascita di un Consiglio Nazionale Iracheno, formato da oltre cento gruppi tribali, etnici, religiosi, nella speranza di influenzare la composizione di un corpo elettorale. Durante il mese scorso, due grandi partiti politici, entrambi guardati da sempre con sospetto a Washington, hanno guadagnato terreno.

Molti accusano l’amministrazione Bush di voler pregiudicare le elezioni nazionali in Iraq, che si terranno a gennaio. Le elezioni indirette sono avvenute durante la guerra e l’Associated Press ha scritto che le bombe esplodevano accanto alla sala dei Convegni dove erano radunati i delegati. Fra l’altro, il numero dei vice-presidenti è salito da due a quattro. Una extrema razio per togliere un pò di potere a quello già grande della Casa Bianca.

Le votazioni di settembre hanno portato alla vittoria il delegato della Suprema Assemblea per la Rivoluzione Islamica in Iraq, Jawad al-Maliki, che ha preso 56 gruppi. Il gruppo sciita che rappresenta è stato usato come un giocattolo da Donald Rumsfeld durante l’invasione dell’Iraq.
Uno degli iracheni meno graditi a Washington è il Segretario Generale del Partito Comunista Iracheno (www.iraqcp.org), Hamid Majid Moussa, che ha preso 55 voti. L’Iraqi National Accord, presediuto da Rasim al-Awadi, un tempo sostenuto dalla CIA, assieme al suo capo, Iyad Allawi, vicino all’amministrazione Bush, che lo voleva primo ministro, ha avuto invece 53 voti.
Nasir A’if al-Ani, delegato del Partito Islamico Iracheno, gruppo sunnita ma oggi simpatico alla resistenza anti-americana a maggioranza Ba’athista, che opera ad ovest e a nord di Bagdad, è arrivato quarto, con 48 voti.

Ad ogni modo, l’elezione di uno qualsiasi di questi corpi elettorali non è un buon segno per Bush. Dopo la nascita del Consiglio, ma prima del voto che ha fatto prevalere i quattro rappresentati indicati, il portavoce della Casa Bianca, Scott McClennan, aveva dichiarato che la selezione del Consiglio era un segnale di avvertimento ai terroristi a non spingersi oltre.

Cosa accadrebbe se dalle prossime elezioni in Iraq dovesse uscire un governo diverso da quello che l’amministrazione Bush si aspettava. Juan Cole, che è tra i più grandi conoscitori di cultura araba ed insegna all’Università del Michigan, ha scritto nel suo blog che sarebbe una vera ironia se, dopo aver invaso l’Iraq, gli Stati Uniti si ritrovassero con un governo iracheno fatto di Comunisti, islamisti e Nazionalisti ex-Ba’thist.

GLI AMICI DEI MIEI NEMICI

La sinistra americana non conosce bene le molte realtà dell’Iraq e farebbe forse bene a raffinare la sua analisi. I gruppi come A.N.S.W.E.R. non vanno oltre una tremula analisi basata sull’anti-americanismo più sciatto. Gli editoriali di The Nation, come i reportages sulla radio libera che trasmette “Democracy Now” hanno invece ignorato completamente i progressisti iracheni e si sono focalizzati sulla resistenza anti-Usa, spesso esaltandola, senza però chiedersi chi siano i gruppi che la compongono e cosa rappresentino per l’Iraq.

Ormai, molti aspetti della guerra in Iraq sono chiari. L’invasione USA è stata il passo più avventato e pericoloso dai tempi del Vietnam e l’America sta già pagando caramente e che ancora più caramente pagherà in futuro. In meno di un anno, la guerra ha fatto saltare la sicurezza anche in America, oltre ad aver ucciso più di mille soldati. John Kerry ha faticato a trovare parole giuste per descrivere la situazione. Gli Stati Uniti hanno suscitato tanto odio da aver battuto ogni record storico (secondo le statistiche internazionale). E questo è esattamente il clima in cui i terroristi di al-Quaida, che sono davvero una minaccia per l’America, desiderano.

Gli attivisti americani che hanno protestato contro la guerra hanno dato un incalcolabile contributo, facendo sapere al mondo che milioni di persone in America non volevano l’invasione. Ma non significa che il nemico di un nemico sia un amico. Avere un’opinione diversa significa abbracciare una logica “orwelliana” che rischia di far apparire i pacifisti non solo male informati, ma anche cinici quanto i sostenitori della guerra contro i quali si battono. Per ironia, l’amministrazione Bush, decidendo di invadere l’Iraq e di fargli la guerra per rovesciare un dittatore tra i più odiati al mondo, si è attirata l’odio di quasi tutti i paesi.

CHI SONO QUELLI CHE ODIANO SADDAM?

Tra i denigratori di Saddam Hussein c’è sicuramente Osama Bin Laden, che rideva del leader iracheno definendolo “infedele” o “falso musulmano”. I musulmani radicali sanno infatti che nessun altro governo arabo ha assassinato altri musulmani quanto il regime Ba’athista di Saddam. Nessun altro ha torturato ed assassinato tanti comunisti quanto ha fatto Saddam nei lunghi anni del suo regime. Il Partito Nazionale della Rinascita era un partito contrario sia ai comunisti che agli islamisti, dedito soltanto al nazionalismo etnico. Voleva soprattutto mettere le minoranze al governo. Per tanti anni, è stato dominato dai Sunniti, che sono soltanto il 17{2ef06ca992448c50a258763a7da34b197719f7cbe0b72ffbdc84f980e5f312af} della Resistenza irachena, poco più dei bianchi in Sud Africa. Gli Sciiti, invece, rientrano nella categoria dei meno abbienti in assoluto ed hanno sofferto più di tutti durante l’embargo. La bassa macelleria di Saddam li considerava carne per foderare i cannoni durante le varie avventure militari. I curdi non hanno avuto più fortuna: pur essendo oltre il 20{2ef06ca992448c50a258763a7da34b197719f7cbe0b72ffbdc84f980e5f312af} della popolazione, non contavano nulla per Saddam.

Durante il regime di Saddam, negli anni tra il 1979 ed il 2003, la resistenza ha assunto varie forme: sciiti islamici, nazionalisti Curdi e comunisti. E le vittime sono state migliaia, a prescindere dal gruppo di appartenenza, a causa della brutale contro-insurrezione voluta dal governo Ba’athista.

Gran parte della sinistra americana sosteneva che, in fondo, il regime di Saddam non era peggiore degli altri. Invece, Saddam Hussein rappresenta una categoria a parte e si è servito di una repressione viscida, che comprendeva tortura e violenza carnale per i membri delle famiglie di sospetti dissidenti. Sono pochi i governanti che hanno raggiunto lo stesso grado di brutalità, a parte, forse, il Guatemala nel 1980. (L’America, ad ogni modo, ha sostenuto entrambi i governi tramite l’amministrazione Reagan).

Non è stata solo la sinistra ad ignorare i vari gruppi iracheni che hanno resistito alla tirannia di Saddam. La destra, sotto la guida di Bush, a sua volta, ha fatto lo stesso al momento della ricerca di alleati per la pianificazione strategica del 2003. Invece di prendere contatti con i gruppi contrari a Saddam, come i musulmani sciiti o la storica resistenza di sinistra, che avevano ancora clandestini armati nei quadri in Iraq, l’amministrazione Bush si è rivolta agli ex-monarchici guidati da Ahmed Chalabi, oggi uscito dalla grazia degli Stati Uniti. Chalabi, che viene dalla vecchia classe dirigente ed è figlio di uno degli uomini più ricchi del paese, che già nel 1958 aveva accumulato una grande fortuna, era un uomo molto in vista durante la breve monarchia imposta dagli inglesi. Poi, è arrivato Saddam, che, con un’azione rivoluzionaria, prese il potere, dal quale restarono esclusi sia la maggioranza sciita che i curdi.

LA RESISTENZA CONTRO I RIVOLUZIONARI

Molti hanno preso le armi contro le forze guidate dagli americani, che sono in questo momento in Iraq e, da parte loro, gli USA hanno avuto la mano pesante. Il che non è dispiaciuto ad alcuni nazionalisti.

Le irruzioni delle truppe nelle case, i maltrattamenti alle donne, i soldati che terrorizzavano i bambini, gli spari nei quartieri popolari che hanno ucciso molti civili, la tortura, le umiliazioni nel carcere di Abu Ghraib sono stati il risultato.

Intanto, a Fallujah, Tikrit e Bagdad, il cosiddetto triangolo sunnita, si andava organizzando la resistenza, guidata dai Ba’hatisti che aspirano a riportare al potere la vecchia dittatura composta da una minoranza. Secondo Juan Cole, il Consiglio Nazionale Islamico avverte la maggioranza Sci’a come una minoranza, cosa che non farebbe neppure l’afrikaner più recalcitrante nel Sud Africa dell’apartheid. Altri, come Naomi Klein, che scrive su The Nation, vedono bene le milizie di al-Mahdi, che recentemente si sono scontrate con i Marines. Si tratta di una milizia concepita alla rinfusa, di marchio Shiita, guidata da Muqtada al-Sadr. Al- Sadr, che è giovane, ha perso due fratelli ed il padre per mano di Saddam. Non è esperto nè ha la maturità di esponente clericale ed ha cercato di guadagnarsi il sostegno proponendo l’arruolamento militare degli esponenti più in vista dell’Islam sciita e predicando la repressione dei gay e delle donne.

Il terzo elemento di resistenza stabile all’interno dell’Iraq è composto da membri forestieri di al-Qaida, che, come Osama Bin Laden e la famiglia reale dell’Arabia Saudita, praticano una forma di islamismo ancora più rigida, setta Wahaabismo. Sono forse loro gli autori delle due donne italiane rapite, appartenenti all’organizzazione Un Ponte Per Bagdad, che, come gli anti-militaristi americani, si oppone all’occupazione americana. L’Iraq Occupation Watch crede di sì e, sul sito web ha scritto che i rapitori devono tenere conto che si tratta di due donne contrarie alla guerra.

Il commentatore di Democracy Now, Jeremy Scahill, e Naomi Klein, hanno invece detto sul Guardian che le due ragazze sarebbero state prese da un gruppo sostenuto dall’intelligence occidentale o dalla CIA, che avrebbe rapito le due donne per screditare l’opposizione irachena.

Gli iracheni favorevoli a Bush, come Ilyad Allawi, un ex- Ba’athista che ha lasciato il Partito a metà degli anni Settanta, non sono migliori. In un comando di polizia di Bagdad, Allawi uccise sei persone a colpi di pistola poco prima di essere nominato primo ministro, anche se non venne mai incriminato, come ha scritto Paul McGeough sul Sydney Morning Herald. Come credenziali, Allawi non possiede un gran che. Ha già oscurato al-Jazeera, la televisione qatariota, ed ha imposto leggi marziali.

E’ bene ricordare che neppure i gruppi di resistenti osannati dalla sinistra americana, nè il governo imposto dagli americani riflettono le aspirazioni degli iracheni, che sperano di affrancarsi sia dalla tirannia del passato come dal governo sempre più dittatoriale di Allawi.
Il popolo iracheno vedrebbe con favore un gruppo sciita moderato al governo del paese, o la sinistra storica, che darebbe al popolo la possibilità di essere per la prima volta artefice del proprio destino.

Sfortunatamente, gli iracheni del popolo sono stati ignorati dalla sinistra americana ma anche dalla destra. Non vogliono continuare ad essere le pedine di un gioco politico sciovinistico che potrà essere caro alle destre, ma che nessun rappresentante cosciente della sinistra progressista dovrebbe accettare. Eppure, la sinistra USA si accontenta di politiche basate sugli slogan e non sulla complessa e contraddittoria realtà dell’Iraq.

FRANK SMYTH è un giornalista freelance che ha “praticato” la guerrilla di sinistra nel Salvador, in Iraq e in Rwanda. E’ stato testimone diretto della rivolta contro il regime di Saddam Hussein nel 1991 ed è stato imprigionato nel carcere di Asbu Ghraib. Ha scritto questo articolo per Foreign Policy in Focus.